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Quando iniziamo a studiare la nostra funzione emotiva, ci imbattiamo in un atteggiamento di fondo che rende particolarmente difficile osservare le emozioni. Il loro stesso sorgere ci travolge. Sembrano così giustificate: “Adoro questo”, o “Non sono d’accordo con questo”, o “Non ce la faccio più, è troppo” (o “è troppo poco”), ecc. Siamo ciechi alla possibilità di poter reagire in qualsiasi altro modo: il nostro sentire e le nostre convinzioni innanzitutto. Questo abbandono del senso di “io” di fronte alle nostre emozioni nel Lavoro è chiamato identificazione ed è qui che può iniziare il nostro studio.
Per aiutare a creare un cuneo tra le nostre emozioni immature reattive e la nostra nascente capacità di osservare, bisogna considerare che da un lato c’è la nostra abituale reazione emotiva di disappunto, vergogna e imbarazzo, e dall’altro, la consapevolezza di averla attirata su noi stessi deliberatamente perché desideriamo conoscerci e superare lo stato illusorio che ci tiene prigionieri di un sogno.
La nostra funzione emotiva è per natura sottosviluppata. Distorce la nostra percezione del mondo ponendoci sempre al centro degli eventi. Tutto riguarda noi, tutti ci ignorano o cospirano contro, tutti dovrebbero pensare a noi e prendere in considerazione i nostri bisogni. Indotti in errore da questi pressanti pregiudizi, prendiamo tutto sul personale e proviamo sentimenti per situazioni che non hanno bisogno di stimolare alcun sentimento, simili a ruminanti emotivi.
Ogni forma di offesa, di risentimento, di reazione ingiustificata nasce dalla pretesa infantile del nostro bisogno d’attenzione. La pressante aspettativa che i nostri bisogni emotivi siano assolti, genera costante competizione, lotta e controllo proiettivo.
La funzione emotiva non sviluppata è la vera prigione dell’Anima sensiente. Il Lavoro offre una soluzione pratica a detta impossibilità.
“Siamo irresistibilmente attratti da chi ci creerà i problemi che ci servono per la nostra evoluzione personale”.
Alejandro Jodorowsky
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Hermes